E’ stata depositata ieri la pronuncia di legittimità che ha annullato la decisione con cui il Tribunale di Sorveglianza di Bologna aveva negato a Totò Riina, anziano e malato, di uscire dal carcere.

CARCERE DURO LIBERAZIONE RIINA

La recente Cassazione n. 27766, ritiene la prima sentenza sfavorevole al boss di “cosa nostra” non in linea con la normativa dettata a livello interno ed europeo in tema di trattamento carcerario e di differibilità della pena in caso di malattia.

Secondo la nostra Costituzione “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” (art. 27, co. 3). Dello stesso avviso anche la CEDU che, all’art. 3, dispone che “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.

Sono queste le disposizioni che, per prime, sanciscono il divieto assoluto a che un detenuto (anche se sottoposto al “carcere duro” ex art. 41 bis ord. pen.) sia costretto a vivere un’esistenza non dignitosa.

Inoltre, gli artt. 146 e 147 c.p. prevedono (per quanto qui d’interesse) il differimento della pena detentiva obbligatorio se ricorrono condizioni di salute incompatibili con il carcere ed una malattia ormai incurabile, in via facoltativa in ipotesi di grave infermità fisica del condannato.

E’ dunque questo il quadro normativo sulla cui base la Suprema Corte ha annullato la decisione di non concedere la scarcerazione a Totò Riina, ritenendo che il Tribunale abbia mancato di valutare adeguatamente le conseguenze della malattia del boss calandole nel concreto contesto carcerario.

Per la giurisprudenza di legittimità, infatti, deve beneficiare del differimento della pena non solo chi risulti affetto da una malattia non curabile in prigione, ma anche colui che, pur curabile da detenuto, in carcere soffrirebbe così tanto da patire un “trattamento inumano e degradante”, vivendo “sotto la soglia della dignità”. E ciò in spregio del diritto di ciascuno – anche del detenuto – di vivere un’esistenza dignitosa.

Guidato dalle linee tracciate dalla Cassazione, dunque, il Tribunale di Sorveglianza di Bologna è ora chiamato a pronunciarsi nuovamente sull’istanza del Riina, stavolta facendo attenzione a valutare la “sopportabilità” della condizione patologica del corleonese anche in rapporto alla concreta situazione carceraria, al senso di dignità umana ed all’innegabile diritto di morire dignitosamente.

Tanto nemmeno mancando di operare (e di motivare) una valutazione sulla pericolosità attuale del soggetto, nonché sulla sua capacità di compiere, pur in stato di malattia, eventuali ulteriori azioni criminose.

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