Il riferimento a stime effettuate sulla base dei valori OMI per aree edificabili non è idoneo e sufficiente a rettificare il valore dell’immobile.

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Tanto ha ribadito la sesta sezione della Corte di Cassazione civile accogliendo il ricorso promosso avverso un accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate.

I fatti.

Una signora, acquistato regolarmente un immobile, si vedeva notificare un accertamento per ritenute maggiori imposte di registro (ipotecaria e catastale) data la rideterminazione d’ufficio del valore dello stesso considerato, dall’Agenzia delle Entrate, ben più alto del dichiarato.

Promosso ricorso, le Commissioni Tributarie Provinciale e Regionale del Lazio accoglievano parzialmente le ragioni della donna, riducendo di 255.000 Euro il valore stimato in prima battuta dall’Agenzia ma non negando una (pur minore) difformità tra prezzo pagato e valore effettivo.

Ricorrevano in Cassazione gli eredi della contribuente ribadendo che, per quanto se ne dicesse, il prezzo corrisposto per l’acquisto in nulla differiva dal valore di mercato dell’immobile, e che dunque null’altro poteva essere loro richiesto.

Si pronuncia sulla vicenda la Suprema Corte affermando ancora una volta che “il valore dell’immobile può variare in funzione di molteplici parametri quali l’ubicazione, la superficie, la collocazione nello strumento urbanistico nonché lo stato delle opere di urbanizzazione” (cfr. ord. 14856/17), e che è illegittima la stima basata esclusivamente su elaborazioni ricavate dall’Ufficio Tecnico Erariale su valori riportati dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare per zone territoriali omogenee.

Tali dati, infatti, rappresentano “mere presunzioni semplici, inidonee a sorreggere da sole la pretesa impositiva” e conseguentemente a gravare il contribuente di darne prova contraria.

Affinché l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate sia fondato non può dunque mai mancare un sopralluogo che indaghi l’effettiva situazione del bene compravenduto.

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