Può necessitare di un amministratore di sostegno chi cade vittima di una “truffa affettiva”.

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Una donna di Ravenna, probabilmente “troppo sola”, passava le sue giornate sui social.

In chat sconosciuti che, guidati ahilei più dalla cupidigia che da Cupido, le “rubavano” circa 50.000 €.

Una moglie e madre, la vittima di queste cosiddette “truffe affettive”, che in assenza di alcuna patologia psichiatrica veniva letteralmente “inghiottita” da facebook, whatsapp & Co. al punto tale da non solo dilapidare gran parte del suo patrimonio, ma addirittura da convincersi di essere sposata con un uomo diverso dal marito e di avere una figlia in realtà mai partorita.

Scoperti i plurimi ed ingenti bonifici al “dongiovanni” di turno, la famiglia della donna si rivolgeva al Tribunale affinché le fosse affiancato un curatore.

Il giudice chiamato a decidere il caso condivideva con il marito e le figlie della signora tale rappresentata esigenza, ritenendo chiaramente la “truffata” in condizione di vulnerabilità tale da esporla ad azioni di circonvenzione da parte di terzi, alle quali ella, da sola, non sarebbe stata capace di opporre resistenza.

Ciò nonostante riteneva di non dichiararne l’inabilitazione, e dunque di non affiancarle un curatore.

Per il Tribunale la soluzione migliore per tutelare la donna, il patrimonio e la famiglia sarebbe infatti quella di nominare un amministratore di sostegno, da individuarsi in una persona diversa dal marito, e che, a differenza del curatore, sarebbe in grado sia di impedire alla debole vittima di continuare a versare denaro a possibili approfittatori, sia di rispettare con più semplicità le concrete esigenze dell’amministrata.

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